Credere nel ‘Per-Dono’. La Misericordia di Dio da Francesco di Assisi a Francesco di Roma
Tonino Daniele 01.08.14 In quel lontano Luglio 1216, la notte era particolarmente calda, e la luna – grande e luminosa compagna di viaggio della terra – illuminava la piana assisana. Francesco, supino dinanzi all’umile uscio del suo tugurio, contemplava, assorto in preghiera, il cielo stellato. Improvvisamente, fra il rumore silenzioso della natura, una voce lo desta; lui si alza e si gira su se stesso, quasi impaurito, per cercare di capire donde provenisse quella voce così soave, che parola d’uomo non potrebbe descrivere. La voce lo chiama e lui si sente chiamare; la segue fin dentro la chiesetta della Porziuncola e qui vede sul piccolo altare, avvolti da una luce splendente, Cristo e sua Madre Santissima circondati da una moltitudine di angeli.
Dopo attimi di smarrimento, Francesco si prostra ed inizia l’amoroso dialogo. Oh quante cose avrebbe voluto chiedere al suo Signore! Parlare delle sue ansie, dei suoi tormenti e, perché no, anche delle sue gioie; ma pregare non è chiedere, non è dire; è ascoltare parole: fare posto alla parola silenziosa che Dio pronuncia (cfr., Adriana Zarri, Nostro Signore del deserto. Meditazioni sulla preghiera). E con Francesco è il Signore che parla per primo: è Dio che chiede all’uomo e non l’uomo che chiede a Dio.
<Francesco, cosa desideri per la salvezza delle anime>? E lui, senza indugiare: <Ti prego che tutti coloro che, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa, ottengano ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe>. E subito la sua mente corse al racconto di un frate il quale, in sogno, vide la chiesetta della Porziuncola circondata da ciechi. I loro occhi, “dolorosamente spenti e la faccia rivolta al cielo”, chiedevano a Dio luce e perdono. E tanto miracolosamente ottennero.
Ed è il Signore che conclude il breve dialogo: <Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande, ma di maggiori cose sei degno e di maggiori ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio vicario in terra, da parte mia, questa indulgenza>. (cfr., “Diploma” di Teobaldo, dato in Assisi, nella festa di San Lorenzo dell’anno del Signore 1310).
Francesco si riprese immediatamente da quella angelica visione e, senza aspettare l’alba, svegliò frate Messeo da Merignano, suo compagno, per recarsi – insieme – a Perugia indi ottenere – così – l’imprimatur terreno alla promessa divina. Non c’era tempo da perdere, non era il momento per pensare ai tanti problemi che iniziavano ad affliggere l’Ordine; la Misericordia di Dio non può attendere! Neanche al suo compagno di viaggio spiegò il motivo di tanta fretta: gli parlò con le parole del Vangelo: <Quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro> (Luca 15, 11-32) ripetendo, con voce diversa: <gli corse incontro>; ma Masseo continuava a non capire: a pochi è dato penetrare i progetti divini; per molti, la fede è solo atto di abbandono all’Amore di Dio, al suo per-dono, alla sua Misericordia.
E presi i loro bastoni, sul far del giorno, s’incamminarono verso Perugia dove allora dimorava Onorio III, nato Cencio Savelli, eletto Papa solo qualche giorno prima.
I due attraversarono – senza attimi di sosta – tutta la valle spoletana e, giunti dinanzi al maestoso palazzo canonicale perugino, esitarono quasi nel proseguire oltre: il loro aspetto non doveva essere – certo – consono allo sfarzo della corte papale; e poi, parlare di Misericordia e di Perdono con il Vicario di Cristo in terra, loro, due umili fraticelli scalzi e sporchi… Si fecero – però – coraggio e chiesero udienza. Furono malamente allontanati dalle guardie del palazzo. Insistettero, riuscendo nell’intento.
Accompagnati dai dignitari, giunsero dinanzi al Sommo Pontefice e ai suoi cardinali. Stucchi, broccati e taffetà non distolsero lo sguardo di Francesco e del suo compagno che umilmente si prostrarono. Fu subito chiesto loro il motivo dell’udienza. E Francesco, con voce tremante e rotta dall’emozione: <Padre Santo, mio Signore, poco tempo fa ho restaurato in onore della Vergine Gloriosa una chiesa; supplico la Santità Vostra che vi poniate un’indulgenza senza offerta>. Ed il Papa deciso: <Non è opportuno far questo; chi infatti richiede un’indulgenza, bisogna che stenda la sua mano in aiuto. Ma dimmi quanti anni vuoi e quanto d’indulgenza io vi debba porre>. E Francesco: <non anni ma anime!>. La risposta sorprese tutti tanto da richiedere immediati chiarimenti: <Voglio, Padre Santo, se piace alla Vostra Santità, che quanti confessati e contriti, e, com’è dovere, assolti dal sacerdote, entreranno in quella chiesa, siano liberati dalla pena e dalla colpa, in cielo e in terra, dal giorno del battesimo, fino al giorno e all’ora dell’ingresso nella detta chiesa>. E Francesco, vedendo l’incertezza nel volto del Santo Padre che già avvertiva i mormorii ed il disappunto del sacro collegio per una richiesta che sembrava follia, aggiunse: <Io sono solo un messaggero di nostro Signore Gesù Cristo>. Ed il Papa, senza esitazione e con gioia, concesse l’indulgenza richiesta, limitandola ad un solo giorno dell’anno, “dai primi vespri inclusa la notte fino ai vespri del giorno successivo”.
Il mormorio dei cardinali continuò e qualcuno di loro, ammantato di stoffe preziose e di oro ricamate, abbandonò anche la sala, ma Francesco ed Papa non se ne curarono: la Misericordia di Dio non può avere un prezzo e la sua casa – anche se piccola ed umile – non può essere abitata da mercanti. E con il cuore ricolmo di letizia Francesco, chinato il capo, si allontanò; ma mentre usciva dal palazzo, il Papa lo chiamò: <O semplicione, come te ne vai? Che cosa porti con te di questa indulgenza?> E Francesco, ispirato, rispose: <Mi è sufficiente la sola vostra parola. Se è opera di Dio, deve Lui manifestare l’opera sua! Di questo non voglio altro documento; ma che soltanto sia la carta la beata Vergine Maria, Cristo sia il notaio e testimoni gli angeli>.
E così il 2 Agosto dello stesso anno, in occasione della consacrazione della cappella della Porziuncola, e alla presenza dei Vescovi dell’Umbria, Francesco annunciò l’indulgenza ottenuta: <Io vi voglio mandare tutti in Paradiso>.
Ed il pensiero corre alle parole di un altro Francesco: quello di Roma. Al suo primo Angelus: <Un po’ di misericordia rende il mondo meno freddo e più giusto. Abbiamo bisogno di capire bene questa misericordia di Dio, questo Padre misericordioso che ha tanta pazienza … Ricordiamo il profeta Isaia, che afferma che anche se i nostri peccati fossero rosso scarlatto, l’amore di Dio li renderà bianchi come la neve>. (Papa Francesco, Roma, 17 Marzo 2013).
Tutti si affannano a trovare similitudini: il loro nome, l’abbandono dei sontuosi palazzi, le periferie, i poveri, addirittura le loro scarpe. Tutto vero! Tutto vero! Ma ciò che unisce Papa Francesco a Francesco d’Assisi – dopo ottocento anni da quel 2 Agosto del lontano 1216 – è credere nel per-dono di Dio. Nella sua Misericordia. Nel suo Amore. Credere che dentro l’inverno possa esserci la primavera (Leonardo Boff). La primavera del Signore.
Tonino Daniele Fraternità Ofs S. Marco in Lamis.
.