Il processo di beatificazione del Servo di Dio fr. Daniele Natale della Provincia di S. Angelo e P. Pio

Luigi Ianzano 16.08.12  Lo scorso sabato 7 luglio, nella chiesa di San Pio da Pieltrecina a San Giovanni Rotondo, una solenne Concelebrazione eucaristica presieduta da Mons. Michele Castoro, Arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, col giuramento dei membri del Tribunale Ecclesiastico Diocesano, ha dato avvio al processo di beatificazione del cappuccino Servo di Dio fr. Daniele Natale, morto in concetto di santità il 6 luglio 1994. Hanno concelebrato il postulatore generale dell’Ordine fr. Florio Tessari, il vice postulatore fr. Mariano Di Vito e tutti gli officiali nominati per l’Inchiesta: don Michele Nasuti, delegato episcopale; don Matteo Tavano, promotore di giustizia; don Francesco Armenti, notaio.

Luigi Ianzano
Consigliere regionale delegato per la Comunicazione

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Profilo biografico di fra Daniele

Michelino nacque pochi mesi dopo la fine della “grande guerra”, l’11 marzo 1919, a San Giovanni Rotondo, che all’epoca era un piccolo e sconosciuto centro del Gargano. Il suo avvenire sembrava già segnato. I suoi genitori, Bernardino Natale e Angelamaria De Bonis, erano entrambi coltivatori e pastori. Così anche a lui, quarto di sette figli, capitava di dedicare più tempo alle pecore da portare al pascolo che ai libri. Ma lo faceva volentieri. Il suo volto era sempre sorridente.
La sua giovialità conquistò anche la famiglia Napoletano-Giuliani, presso la quale lavorava come pastorello per arrotondare le entrate in casa, dove c’erano tante bocche da sfamare. Per la coppia dei datori di lavoro, che era senza prole, il ragazzino era diventato come un figlio.
Proprio in questa masseria, situata sulla via per Cagnano Varano, il piccolo Michele Natale, ebbe il primo segnale di una chiamata a una vita diversa: un fascio di luce misteriosa, che proveniva da San Giovanni Rotondo, si posò su di lui e su un altro bambino con cui governava il gregge.
A 14 anni arrivò la vocazione. In un modo speciale. Nella notte fra il 12 e il 13 maggio sentì la voce di Gesù che lo invitava a seguirlo nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Certamente non fu uno scherzo della suggestione, giacché Michelino non aveva mai preso in considerazione questa eventualità, tanto che osò replicare: «Ma come? Devo lasciare mamma?». Quella “voce” rispose: «Sì. Ma io ti do la mia Mamma come Mamma tua, che è anche Mamma di tua madre. A questa Mamma potrai chiedere qualsiasi cosa».
A una chiamata del genere non si poteva certo dire di no. Prima di partire per il convento di Vico del Gargano, però, il ragazzo passò da quello del suo paese, per ottenere la benedizione del superiore. Era il 4 giugno 1933, festa della Pentecoste. Prima di partecipare alla Messa, in sacrestia, trovò una sorpresa: c’era Padre Pio pronto per fare da diacono durante la celebrazione, nonostante gli fosse ancora vietato svolgere pubblicamente il suo ministero. Michelino gli baciò la mano e chiese una benedizione speciale. Il santo Frate pose la sua mano piagata sulla testa del fanciullo, lo benedisse e aggiunse: «Auguri, figlio mio».
Un anno dopo fu trasferito a Foggia, nel convento di Sant’Anna, con gli incarichi di sacrista e portinaio. All’epoca quella era la sede della Curia Provinciale dei Frati Cappuccini. Il ministro provinciale, padre Bernardo d’Alpicella, un giorno volle verificare le capacità del postulante, visto che, quando era in famiglia, non era riuscito ad andare oltre la terza elementare. Gli diede da leggere una biografia di san Corrado da Parzham, appena canonizzato da Papa Pio XI. Il quindicenne la “divorò” tutta d’un fiato e si presentò da padre Bernardo per essere interrogato. Questi rimase stupito, perché il ragazzo aveva imparato il libro quasi a memoria. Così lo invitò a tenersi pronto per entrare in seminario, appena si fosse liberato un posto. La risposta di Michelino stupì ancora di più il Ministro Provinciale: «No, padre. Voglio rimanere semplice fratello laico! Sono entrato in convento per farmi santo e ho appreso dalla vita di san Corrado che non è affatto necessario diventare sacerdote per arrivare ad essere santo».
Il 25 marzo 1935 cominciò il noviziato a Morcone e Michele prese il nome di fra Daniele. Il 2 aprile dell’anno seguente si consacrò temporaneamente al Signore, seguendo i consigli evangelici di san Francesco, e confermò definitivamente questa scelta il 12 maggio 1940.
L’anno precedente i superiori gli avevano concesso di trascorrere Natale e il primo dell’anno in famiglia. In quel breve periodo ebbe l’occasione di confessarsi da Padre Pio che, dopo l’assoluzione, gli disse: «Sappi che da oggi hai un padre». Fra Daniele replicò: «Padre, io il padre ce l’ho…». Il Cappuccino stigmatizzato si spiegò meglio: «Ma che hai capito? Io intendo il padre spirituale».
Subito dopo la professione perpetua il giovane frate fu destinato nuovamente a Sant’Anna con gli incarichi di questuante e cuoco. Visse, dunque, a Foggia la tremenda esperienza dei bombardamenti della città del 1943. Fu, per lui, l’occasione per esprimere tutta la sua generosa propensione alla carità. Non si risparmiò nel soccorrere i feriti, seppellire i morti e riuscì anche a mettere in salvo i paramenti e gli oggetti sacri del convento.
Negli stessi anni fra Daniele conobbe e frequentò assiduamente Genoveffa De Troia, che gli fu maestra nella preghiera, ma anche nell’accettazione della sofferenza, da offrire al Signore.
Nel 1952 fu costretto a recarsi a Roma per ricoverarsi, su suggerimento di Padre Pio, all’ospedale “Regina Elena”. La diagnosi, per l’epoca, equivaleva quasi a una condanna a morte: tumore della milza. Tra l’altro il chirurgo, prof. Riccardo Moretti, non voleva neppure intervenire, perché era certo che il paziente sarebbe morto sotto i ferri. Ma una «voce» lo indusse a cambiare idea. L’operazione fu molto particolare. L’anestesia ebbe un effetto molto blando e fra Daniele rimase sveglio e cosciente. Sentiva tutto: ciò che dicevano i medici e anche il dolore. Solo ad un certo punto perse conoscenza ed entrò in coma. Quindi la sua anima si presentò «dinanzi al trono di Dio» e, subito dopo, per due o tre ore, fece l’esperienza del purgatorio perché, quando faceva la spesa, a volte gli veniva fatto lo sconto, ma non consegnava il resto al superiore per impiegarlo «per la corrispondenza, per le mie piccole necessità e anche per aiutare i militari che bussavano alla porta del convento». Furono due o tre ore di «dolori terribili», tanto da sembrargli «trecento anni». Ma ciò che più faceva soffrire in quello stato era il «sentirsi lontani da Dio». L’invocazione e l’intercessione della Madonna e di Padre Pio ottennero la grazia invocata: la possibilità di rientrare nel corpo, «di tornare sulla terra, per vivere e agire solo per amor di Dio». Fra Daniele si risvegliò, spaventando tutti coloro che vegliavano la sua salma, con tanto di certificato di morte già compilato da alcune ore.
Il chirurgo aveva asportato la milza, ma «il male» non era stato debellato. Nonostante cicli di chemio e radio terapia, si sarebbe ripresentato qualche anno dopo.
Tornato in fraternità, svolse i compiti di cuoco, questuante, portinaio, telefonista e sacrista nei conventi di San Giovanni Rotondo, Vico del Gargano, Isernia e Cerignola.
La sua attività fu nuovamente interrotta per problemi di salute. Fu ricoverato a Casa Sollievo della Sofferenza e doveva essere operato per un tumore alla vescica. Questa volta il primario era pronto a eseguire l’intervento. Fra Daniele, invece, gli rispose: «Professore, fa’ pure quello che ritieni opportuno… non troverai nulla, perché è già intervenuta la Madonna». Il medico gli rispose con un sorriso che lasciava trasparire tutta la sua incredulità. Ma quando incise con il laser restò sorpreso. Quando il paziente si risvegliò, andò a trovarlo in camera e gli chiese: «Mah… fra Daniele, quanti santi protettori hai in Paradiso?». Senza scomporsi il frate rispose: «Professore, te l’avevo detto che è intervenuta la Madonna».
Dopo la morte di Padre Pio il suo figlio spirituale si dedicò completamente ai Gruppi di Preghiera, in Italia e all’estero. Nonostante il suo stato laicale, parroci e vescovi gli consentivano di tenere conferenze e, ogni volta, chiese e sale erano insufficienti a contenere quanti volevano ascoltare le sue parole. Lui, però, non si stupiva. Ricordava bene, infatti, ciò che gli aveva detto il suo santo Confratello: «Dove stati tu, starò anch’io; dove vai tu, verrò anch’io».
Il 6 luglio 1994, all’età di 76 anni, fra Daniele termina il suo cammino terreno, pianto da tutti coloro che lo conoscevano e per i quali era diventato un punto di riferimento. E ancora oggi, a distanza di 18 anni, tanti si recano al cimitero di San Giovanni Rotondo, per confidargli le loro pene e chiedere la sua intercessione, già tante volte sperimentata quando era in vita.

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