In difesa del ‘cattivo ladrone’ … La miserabile colpa grave di aver bestemmiato chi poteva salvarlo
Tonino Daniele 07.03.2014 Pochi minuti sono bastati per deliberare la sua condanna. Nessun ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza. Prove inconfutabili: “le tecniche e lo stile inquisitorio operano effetti probatori ad alto rendimento ed erodono le garanzie difensive” (cfr., Franco Cordero, Riti e sapienza del diritto, 1985). Gravi i reati contestati, proporzionale la pena: capitale. Inutile gravarne la decisione: per quanto dagli atti vi sia incertezza circa le sue generalità, non ci sono dubbi sulla sua identità fisica. Gesta – questo (forse) il suo nome – è l’autore dei misfatti; il resto: “estro semantico, acume analitico“.
L’ordine di esecuzione della pena arrivò con largo anticipo. Inevitabile al passaggio in giudicato della sentenza. Vanificò speranze salvifiche. Nessuna misura alternativa alla crocifissione. Nessun perdono. Nessuna clemenza. La scelta cadde il giorno della Parasceve e sarà esecuzione collettiva: insieme a Disma, suo sodale in scorribande e coimputato, anche Gesù, il Nazareno.
Quel nome non gli era, però, completamente indifferente. Ebbe un sussulto e si ricordò di un giorno a Gerico; tra la folla, un uomo, per meglio vederlo, salì sopra un sicomoro. Non intese il colloquio tra i due, preso – com’era – dalle sue continue preoccupazioni, ma sentì il Nazareno, nei pressi dell’abitazione dell’uomo, parlare di salvezza: <oggi è entrata in questa casa> (cfr., Lc., 19, 1-10).
Ma c’era qualcosa di più: ricordi personali. A fatica riemersero. Ma sì, anche lui è stato salvato da Gesù. E quando? Da bambino. E’ un episodio raccontatogli. Maria, la madre di Gesù, durante la fuga in Egitto, trovò ospitalità nella locanda di famiglia e chiese un catino d’acqua per lavare il suo bambino. La locandiera – sua madre – la pregò di permetterle di immergere anche lui nella stessa acqua in cui il piccolo Gesù era stato appena lavato, perché presentava i primi segni della lebbra. Sua madre lo immerse ed egli guarì immediatamente. Si chiese se anche questa volta avrebbe potuto fare affidamento sul Nazareno. Sicuramente, se avesse – però – ereditato la fede della madre.
La sua, una vita al limite. Oltre i limiti. La sua dannazione: il potere, il danaro, essere il primo, il più importante, possedere sempre più beni. Ha scontato in vita la sua pena: il contrappasso delle sue colpe. Si è fidato (troppo) degli uomini e dagli uomini è stato tradito. Ha commesso errori: numerosi, e questi lo hanno imprigionato. Voleva – semplicemente – rivoluzionare il mondo e se stesso. Certo, se gli avessero dato del pane e del vino, del buon pane e del buon vino; se avessero imbandito – per lui – tavole e, solo dopo il pasto, annunciato che è meglio servire il Signore e che Lui avrebbe provveduto alle cose necessarie e che alla fine avrebbe salvato – anche – la sua anima, le cose sarebbero, forse, andate diversamente (cfr., Leggenda Perugina, FF., n. 1646). Che gli venga concesso, almeno, il beneficio del dubbio!
La vita, con lui, è stata avara di gioie e soddisfazioni, nonostante non si sia mai risparmiato. Invano si è affaticato. Sulla sua strada solo ipocrisie: sempre giudicato da ben altri ladroni; questi, però, divenuti eroi. La storia successiva ha conosciuto ingiustizie, mostruosità, miserie, ma lui (e solo lui) è rimasto per sempre “il cattivo ladrone“. Ha dovuto salire scale, attraversare stanze e cortili, e poi ancora scale e stanze. Affannarsi inutilmente. Per lui non c’era posto. Eppure, anche un orologio rotto segna, per due volte nell’arco della giornata, l’ora esatta.
Chiedeva solo di essere messo alla prova: nessun privilegio, nessuna scorciatoia. Quel poco credito ricevuto è sempre stato restituito in tempo e moltiplicato per cento. E’ stata – forse – più grave la sua colpa: l’aver scelto il servo e non il padrone (cfr., Tommaso da Celano, Vita seconda di San Francesco d’Assisi, FF., n. 587)? O la vostra: sordi al suo grido?
Ma il Golgota attendeva anche lui. Si ritrova ancora solo, svergognato, deriso, inutile e disprezzato da tutti. Ma, nell’ora della fine, la sua colpa più grave: l’aver bestemmiato Colui che poteva salvarlo. <Se sei tu il Cristo, salva te stesso e noi> (Lc., 23, 39). Non un semplice insulto. Quella congiunzione dubitativa segna un’offesa gravissima. Forse l’allontanamento definitivo. Forse. Al suo correo è bastato ometterla per ottenere la salvezza eterna (Lc., 23, 40). Sarebbe stato sufficiente obiettare, ma non dubitare; porre la domanda non sul quando, ma sul come. La salvezza non è (solo) questione di termini, ma (anche) di gesti. Non sempre grandi: a Disma è stato sufficiente un rimprovero; all’emorroissa, toccare il mantello del Nazareno (Mt., 9, 20-22). E pensare che quel carpentiere avrebbe lavato e baciato – volentieri – anche i suoi piedi!
Qualcuno, prima di lui, negò – per paura – di essere alla sequela del Cristo; ma, poi, ne incrociò lo sguardo salvifico, pentendosene (Lc., 22, 54-62). Lui ne ascoltò solo il silenzio e, questo, l’ha sottomesso. Un suono compassionevole: nessun giudizio, nessuna condanna, “perchè se Dio parla è per Amore; se tace, è ancora per Amore. Dio non spezza, si spezza“.
La morte non gli ha concesso tempo per gli sguardi, per gli ammiccamenti. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, sicuramente un improvviso pentimento, ma la voce gli morì in gola. Ma anche a lui è stato promesso un futuro di salvezza da Colui che non è lontano da nessuno. O tutti salvi, o tutti dannati! A proposito, qualche giorno prima il Cristo aveva garantito la salvezza a tutti. <Questo è il mio sangue versato per voi e per tutti>. Non per molti, ma per tutti. Nessuno escluso, neanche Gesta. Eppure sapeva: sapeva del tradimento (Mt., 26, 20-21); non poteva non sapere della bestemmia. Non ha escluso, dal suo progetto salvifico, né il traditore né il blasfemo. Ciò che non è stato escluso da Dio, non può essere escluso dagli uomini. <Non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta> (Is. 43, 2). Giustizia inedita che trascende quella umana.
L’esclusione vizia “l’annuncio liberante”: esiste il perdono del male commesso. Dio è più grande di ogni peccato. Egli ama – gratuitamente – tutti. Ogni persona può beneficiare del suo abbraccio misericordioso (cfr., Papa Francesco, Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà, Messaggio per la Quaresima 2014). Insufficienti le categorie umane per capirne la portata.
Certo, temeva la morte. E la paura della morte rende deboli. Vulnerabili. Si vacilla. Anche il Nazareno ebbe paura. Chiede al Padre di essere dispensato. Supplica che la fine non arrivi; che l’inevitabile non si realizzi: <Padre, se vuoi allontana da me questo calice. Però non sia fatta la mia, ma la tua volontà> (Mt., 26, 36-44). Ancora un “se“; etimologicamente diverso: di affidamento totale alla volontà del Padre. Ma lui era il Cristo. Gesta solo un uomo. Solo un povero uomo.
Signore, Tu che hai lasciato il resto del gregge per andare alla ricerca della pecora smarrita; Tu che hai acceso la lucerna per cercare attentamente la dramma perduta; Tu che sei l’unico giudice infallibile, ma anche misericordia infinita; Accogli anche Gesta: è solo un uomo, un povero uomo, un peccatore. Un miserabile. Tonino Daniele Fraternità Ofs S. Marco in Lamis Segreteria e Comunicazione Ofspuglia.
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