In memoria di suor Giusy Lupo di Celenza Valfortore, missionaria in Brasile morta in un incidente
Lucia Magaldi 02/7/17 Tutto il paese parla di te, della tua morte acerba e della tua vita semplice. Io parlerò di una suora modello di santità, simbolo di sacrificio, esempio di gioia missionaria che ha avuto una passione travolgente fatta di povertà e grandezza,
amore per i miseri, coraggio nell’affrontare le sfide, capacità di unire due mondi. Grazie per aver scelto di vivere gli anni della giovinezza tra noi e per aver accompagnato i giovani nel cammino di fede. Grazie per aver amato il Brasile, interprete dell’anima genuina di vocazione comboniana. Ho il tuo sorriso innanzi a me che abbatte la paura dell’ignoto e ricerca la pace universale. Lascio parlare il cuore quando dico che sei stata l’orgoglio di questa terra troppo stretta per i tuoi sogni: non ti accontentavi di piccole cose perché ciò che abbiamo in dono è così grande che ogn’altra scelta appare modesta. Ho avuto il privilegio di conoscerti quando lavoravi a Celenza Valfortore e sapevo che stavi lavorando per il mondo. Vedere te, china sulla chitarra, era ammirare un quadro in cui venivano impressi i sentimenti dell’autore che si fondevano con lo spettatore: il tuo strumento era come l’arpa di Davide nel placare le ire di Saul e la tua voce come il canto della Madonna che sussurrava parole a Gesù. Non è facile parlare della tua eredità: è così copiosa che non potrei aggiungere null’altro alla grandezza della tua esperienza; mi concentro sull’esercizio spirituale e sul rifiuto del mondo provinciale che ti eleva a donna planetaria rendendo il dovuto omaggio alla bontà, fede e carità: virtù autentiche mai sporcate dall’opportunismo di convenienza. Per rimanere fedele ai tuoi propositi hai coltivato il fervore missionario e la vitalità religiosa. Iddio, nella sua infinita grandezza, ti ha voluto con sé esortandoti “Lascia i tuoi sandali, non portare borsa né argento … e seguimi”. Tu l’hai ascoltato davvero, così hai riposto i tuoi effetti personali nel giorno di san Giovanni Battista mentre i fuochi d’artificio illuminavano il cielo. Tua madre e tuo padre, Maria e Pietro, portano nei loro nomi i fondamenti della cristianità; tua sorella e tuo cognato l’eredità francescana. Loro non ti dimenticano e ti vedono ogni giorno nelle cose semplici: sei il raggio di sole che penetra al mattino nella stanza, sei il profumo dei gerani che fioriscono davanti alla porta d’ingresso, sei il suono delle campane che richiamano i fedeli alla messa, sei la fiamma dei ceri sull’altare che ti ha visto sposa di Cristo. Dalla cantoria, laddove hai intonato canti melodiosi, ora si leva una richiesta: incidere il tuo nome sul pentagramma, sulla partitura, sulla postazione dei cantori perché tu esprimi la nuova ecclesiologia vaticana. L’ intitolazione “Coro polifonico di suor Giusy” è cosa giusta per una “donna di Dio” in cammino nella complementarietà con gli altri: sorella e madre feconda che ha avuto più germani e figli spirituali di chiunque. Porto l’abbraccio della fraternità francescana a tutte le suore che sono colpite dalla prematura scomparsa anche se una sorella non muore mai, è sempre viva nei ragazzi che si sono formati alla sua catechesi e negli adulti che sono stati affidati alle sue cure. Lei ha assunto un ruolo fondamentale portando in sé il germe dell’amore che fa crescere la pianta della carità per attecchire nei territori del cuore. Non ha avuto bisogno dell’abito talare perché il progetto di darsi agli altri è stato senza rimborsi, così come la strada delle missioni è ardua e irta di insidie. I voti di povertà, castità e obbedienza sono stati l’unica regola di vita. La dedizione alla preghiera, il privilegio di parlare con la Madre Celeste. L’eucarestia, l’incontro felice con Cristo. Suor Giusy è stata l’interprete della “ricchezza del niente” tanto da evocare l’epistola di santa Elisabetta ad Agnese di Praga: “affidare i tesori al cielo ove non li corrode la ruggine, non li consuma il tarlo, non li rubano i ladri” Noi affidiamo al cielo il grande tesoro che è suor Giusy e non ci chiediamo perché avvengono cose contrarie alla volontà umana. C’è un “Preghiera semplice” rinvenuta nel 1915 sul retro del santino di san Francesco d’Assisi che riassume il senso della vita: “Perché è così: è dando che si riceve, perdonando che si è perdonati, morendo che si resuscita a vita eterna”.
Lucia Magaldi
Ministra della Fraternità/Celenza Valfortore
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