“L’obbedienza”, il primo incontro di formazione regionale con sr. Ludovica Loconte del 10 novembre

Vincenzo Bini 24.11.19  Chi aveva già avuto modo di conoscerla, sapeva che questa non sarebbe stata una qualunque domenica mattina. Radiosa, espressiva, contagiosa, con quel suo modo di comunicare amorevole, ma anche severo. Bella come una Clarissa, come una “madre” la cui vocazione ha trovato il pieno compimento. Questa è Suor Ludovica Loconte. E, all’inizio della sua splendida catechesi, mette subito le cose in chiaro: “Se sono qui oggi è solo per amore!”. Non ne dubitavamo, sorella carissima…

Il primo dei tre incontri di formazione proposti dall’equipe di formazione regionale per l’anno fraterno 2019/2020, ha come tema l’Obbedienza e, per introdurlo, Suor Ludovica si è servita dell’Art. 10 della nostra Regola che recita: “Unendosi all’obbedienza redentrice di Gesù, che depose la sua volontà in quella del Padre, adempiano fedelmente agli impegni propri della condizione di ciascuno nelle diverse circostanze della vita , e seguano Cristo, povero e crocifisso, testimoniandolo anche fra le difficoltà e le persecuzioni”.

Così San Francesco salutava l’obbedienza: “Ave signora santa carità, il Signore ti salvi con tua sorella, la santa obbedienza” (FF 256). Un percorso garantito di santità, che richiede però di morire a noi stessi, a tutto ciò che non è santo, a tutto ciò che non ci porta a Dio. La “santa obbedienza” richiede un corpo mortificato: così potremo obbedire allo spirito… e al nostro fratello! Già, perché se la fraternità non è santa, non è fraternità! Non è solo il carisma che ci unisce, ma anche quella che chiamiamo professione, che significa che “Io credo, sempre, perché Dio crede in me!”. E quando le cose vanno male ricordiamoci sempre che la nostra è una professione di fede. Essere obbedienti significa essere “liberi” ed essere liberi significa fare quello che è vero! Ma come vivere da persone libere in questo mondo? Richiede molto coraggio, è roba da “campioni”. Non rassegnati, non piagnoni, ma da persone che credono, persone capaci di trasformare la delusione in speranza! Non possiamo accontentarci: la nostra professione ci aiuta a vivere meglio, in letizia. Una vita in cui la morte non ha mai l’ultima parola. Dio è nelle nostre fraternità e questa è la nostra professione! Imparare a “restituire” gli uni gli altri. Andando oltre, senza fermarsi. Vivere la vita fino in fondo: questa è la nostra obbedienza, come Don Tonino che, nel suo letto di sofferenza, disse a chi lo assisteva: “Voglio vivere anche la mia morte”.

Spesso facciamo tante finte obbedienze dettate dall’opportunità, per mantenere la pace… Ma noi francescani la pace dobbiamo viverla, passando attraverso una guerra interiore. Dio è obbedienza al fratello, perché ci vuole testimoni del suo amore, del suo amore Crocifisso. Gesù guarda al Padre e lo ama: si può obbedire solo per amore!

L’obbedienza è legata alla virtù teologale della fede: capisco che ho fede se la mia vita è anche morire. C’è tanta tristezza in perdoni non dati, che ci portano alla morte, ma c’è anche una “morte pasquale” che genera vita anziché togliercela!

L’obbedienza è “spiritualità della concretezza”. Questa società ci sta anestetizzando: ormai viviamo più di “impulsi” che di provocazioni. Noi siamo invece chiamati a riflettere, per accorgerci della realtà, in modo discreto, contemplativo, per andare più in fondo. Essere obbedienti significa anche coinvolgerci in tutto quello che ci circonda, cercando di capire, per poi esprimerci e proclamare la nostra fedeltà a Dio, anche nel “martirio” di un mondo che scoraggia le cose importanti, che vuole vederci “vivacchiare”. Se io, invece, mi accorgo, mi coinvolgo e mi esprimo farò del bene alla mia fraternità: la mia professione troverà compimento. Smetterò di essere lamentoso. Se non esprimo quello che vivo, non diventa esperienza, ma solo uno sterile “vissuto”… C’è bisogno di un cammino di liberazione da ciò che non è da Dio. I “ma” sono solo giustificazioni: non abbiamo professato le nostre ragioni, ma quelle del Vangelo: il noi. L’io senza il noi è una menzogna! Dobbiamo aprire la nostra vita a una dimensione fraterna: condivisione, non potere! Siamo diventati francescani per aiutare il mondo: servi, non padroni… che è un po’ quello che avvelena i nostri “Capitoli”. Dobbiamo uscire dalle nostre tristezze con i gemiti di un parto.

“Io voglio vivere!”, questa è la promessa di Dio che, però, richiede volontà: “Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!”. Spesso mi sorprendo a curare il mio bonsai senza accorgermi che dietro di me c’è una foresta che brucia. Volontà significa, invece, comportarmi come ha fatto Gesù, perdonando, amando il nemico, pregando per il persecutore, senza lasciarmi rubare l’anima! “Io sono come il letto di un fiume, un fiume di tristezza… riempito di gioia!”: questo è il nostro nome! Io non sono chi sono stata, ma chi sono oggi. C’è da salvare il mondo!

San Francesco chiede che l’obbedienza sia vera, caritativa e perfetta. Vera: quando uno perde quello che gli appartiene, lo mette nelle mani del “superiore” e crede che ciò che egli ne farà sarà per il bene dell’intera fraternità. Non sono d’accordo? Allora credo… e questa obbedienza alzerà il “livello” della sua proposta. Caritativa: se il fratello vede cose migliori di quelle che vede il ministro, volentieri sacrifichi a Dio le sue ragioni e cerchi, invece, di adempiere con l’opera quelle del superiore. Non per compiacimento, ma per obbedienza, perché l’obbedienza è sempre feconda! Perfetta: se il superiore ti comanda qualcosa che va contro la tua coscienza, contro il Vangelo, tu, pur non obbedendogli, non abbandonarlo. Così soltanto potrà accorgersi del suo errore. Accompagnare senza obbedire… Se abbandoniamo il mondo anziché salvarlo, che speranza ci sarà? Dobbiamo provarci a cambiare il mondo! Come vivere da cristiani il nostro oggi? Senza fare quello che fanno gli altri, rischiando di essere sbeffeggiati. Dobbiamo starci nel mondo, ma dobbiamo starci bene!

Abbiamo ascoltato come l’Art. 10 della Regola OFS ci esorti a testimoniare Cristo anche fra le difficoltà e le persecuzioni. La nostra missione è riportare l’uomo all’amore di Cristo crocifisso. Davanti alla richiesta di Chiara di seguirlo, Francesco le dà una casa e un Crocifisso: questa è la consegna che Francesco fa a tutti noi. Penuria, povertà, fatica, tribolazione, infermità, ignominia, disprezzo: abbiamo indietreggiato davanti a queste situazioni? Chiara e le sue “sorelle” provavano “sommo diletto” davanti alle difficoltà della vita, perché l’avevano visto fare ai Santi martiri che avevano offerto la loro vita a Dio, perché con Dio la vita non finisce! Se indietreggi, non cresci… Cresciamo, invece, quando obbediamo alla vita e la assecondiamo nella fede. Se indietreggio, non conoscerò mai la “Pasqua”, avrò lasciato vincere la paura. Invece io “credo” e vado avanti. Bisogna voler vivere per fare la professione francescana, non indietreggiare!

“Poiché vi siete fatte figlie ancelle dell’Altissimo Padre celeste, spose dello Spirito Santo e avete scelto di seguire il Signore Gesù…” Quelle che Francesco dice a Chiara sono le stesse parole che Francesco dedica a Maria, il complimento più grande che potesse farle e, “Poiché vi siete fatte questo, prometto di avere sempre di voi cura e sollecitudine speciale”.

Per affrontare le difficoltà della vita ci vogliono “fede santa” e “gioia”. E la gioia più grande è guardarsi indietro e vedere il cammino che ho fatto, ringraziando il Signore per le cose buone che ho compiuto nonostante le mie fragilità e le mie debolezze!

“L’obbedienza è solo una parola, quella con cui avevamo iniziato, la stessa che mi ha portato qui; l’obbedienza ha solo una ragione: l’amore!”.

Vincenzo Bini

Ministro della Fraternità di Giovinazzo

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Trascrizione Incontro del 10 Novembre 2019

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