Per una Convivialità delle differenze

Stefano Di Tondo 07.06.2024  In molti modi si vuole pensare la realtà a partire da una interpretazione arbitraria di fatti di cronaca. Sovente, rimane nella memoria collettiva l’impressione di vivere un tempo di crisi, il cui superamento appare una impresa per pochi eletti benestanti. Tra le mani, in questo momento, ho un libro molto potente; non so di preciso quanti hanno letto le pagine scritte dall’autore. Il titolo rievoca una lode antica di s. Francesco d’Assisi, tratta dal Cantico delle Creature: «Laudato Si’, mi’ Signore» dice il Pontefice. Per quale motivo? Perché la terra in cui abitiamo, il mondo, è un sacramento di comunione, in cui il divino e l’umano si incontrano nel più piccolo dettaglio (§9). Questa immagine apre non soltanto i nostri occhi alla contemplazione di un mistero più grande della nostra capacità di sentirci parte del mondo, ma ci riporta subito al momento in cui Dio stesso ha voluto che fossimo liberi quando ci ha donato la vita. S. Francesco lo sapeva bene, lui, il piccolo fraticello che aveva scelto la povertà e l’austerità, di certo non per farne una mera pratica di ascetismo esteriore, quanto per apprezzare una verità nascosta nel gesto della rinuncia: astenersi dal possesso della realtà e da ogni forma di potere e dominio. Si parla spesso di questa Lettera Enciclica per alcuni contenuti, molto significativi per noi che viviamo nel tempo dell’urgenza e dell’emergenza perenne. La salvezza materiale appare essere l’unica forma di interesse collettivo, dunque si combattono guerre per fare una corsa agli armamenti, oppure per l’acqua o per creare nuove forme di colonialismo in Africa, da sempre terra fertile e ricca di materie prime per le grandi aziende multinazionali. Perdiamo la dimensione umana delle relazioni, in un tempo denso di interazioni virtuali, ma privo del contatto con una persona, la sua realtà, il suo vissuto quotidiano. L’ecologia integrale di cui parla il Sommo Pontefice nell’enciclica non è un’ideologia a buon mercato, ma una seria prospettiva di fede per vivere l’ambiente circostante in relazione con la natura, la società, la comunità di appartenenza, la famiglia. Tutto di noi è relazione, non possiamo pensarci esseri viventi e, allo stesso, isolati dal resto del mondo, privi di un orizzonte di speranza che coincida con la comunità che Cristo Signore ci ha donato, con la Fede, nel sacramento del Battesimo. Il consumismo erode la varietà delle culture e aumenta la percezione della crisi sociale, la mancanza di lavoro, il desiderio di conoscere e pregare insieme. Non esistono ricette preconfezionate per risolvere il problema della convivenza di persone provenienti da culture molto diverse. Soltanto ciò che non si conosce davvero può generare paura, sconcerto, chiusura sociale; tuttavia, la piena consapevolezza di questo disagio diffuso può essere la leva su cui agire la spinta interiore verso il cambiamento, la prospettiva di lungo termine, l’attesa di un futuro che può diventare presente. Pertanto, il superamento può avvenire se decidiamo di aprire il cuore a Cristo, facendo memoria del monito non abbiate paura di Papa Giovanni Paolo II nella sua prima omelia del 1978. Le soluzioni tecniche ai problemi non risolvono le grandi questioni culturali. «È necessario assumere la prospettiva del diritto dei popoli e delle culture», prosegue il Papa Francesco nell’enciclica, «e in tal modo comprendere che lo sviluppo di un gruppo sociale suppone un processo storico all’interno di un contesto culturale e richiede il costante protagonismo degli attori sociali locali a partire dalla loro propria cultura». Certamente, la storia mette a disposizione delle istituzioni i dispositivi giuridici adatti per cogliere la bontà delle affermazioni del Pontefice.

Nel 1944, Aldo Moro scriveva sul periodico «La Rassegna» di una Italia angustiata dalla guerra, pervasa da sentimenti di odio, senza speranza. Per uscire da quella impasse era di certo necessario individuare «il punto di crisi per prendere coscienza e da lì muovere» per risolvere annosi problemi economici, sociali ed istituzionali. Era necessaria la Fede perché solo uno sguardo più alto, un quid che proviene dalla Grazia può illuminare le tenebre di questo mondo.

Stefano Di Tondo

Fraternità di Putignano/Santa Chiara

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